Da pochi mesi si è conclusa la cop26 di Glasgow, ma il successo delle azioni per il clima stabilite in quel consesso non è per niente scontato: ora, infatti, l’applicazione degli accordi presi dipende tutta dagli Stati che se ne sono fatti carico.
La road map verso una transizione energetica e verso un mondo più pulito e sicuro è ancora piena di ostacoli, ma possiamo sperare di aver compiuto almeno i primi passi nella giusta direzione.
Quali sono gli impegni presi in fatto di azioni per il clima? Sarà abbastanza?
Facciamo un riassunto: durante la cop26, nonostante un accordo finale al ribasso, si è stabilito che:
- Le nazioni coinvolte si impegnano a tagliare le emissioni del 45% entro il 2030 (riferendosi ai livelli del 2010), per poi puntare a raggiungere zero emissioni nette intorno alla metà del secolo, anche se non è stata definita una data certa
- Ben 100 paesi hanno sottoscritto l’accordo contro la deforestazione in cui promettono di arrestare questo fenomeno entro il 2030
È vero che probabilmente si poteva fare di più, ma si tratta comunque di due impegni di primaria importanza per limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi e conservare la biodiversità dei nostri habitat.
Purtroppo, come dicevamo, questo accordo vive di luci e ombre: nella pubblicazione del gruppo di lavoro dei Giovani dell’AsviS “Cop26: dove stiamo andando?” si dice che «nonostante sia la prima volta per un documento Onu in cui si raggiunge un risultato di questo tipo, non sembra sufficiente a contenere gli effetti del cambiamento climatico. I giovani chiedevano di dare una forte spinta alle soluzioni naturali, ma il documento finale della Cop26 invita, e non vincola, i Paesi ad adottare fonti energetiche rinnovabili e a ridurre la presenza di centrali a carbone e di sussidi alle fonti fossili, senza un piano centralizzato e strutturato per tutti». Proprio in questa mancata strutturazione e messa a terra degli impegni sta il principale problema, ma sempre qui deve concentrarsi la spinta delle diverse Nazioni nel far rispettare i patti il più possibile.
Quali azioni contro il cambiamento climatico si stanno realizzando, dopo la cop26?
Sempre nella pubblicazione dell’AsviS troviamo anche un’interessante proposta per il ruolo di cui l’Italia può farsi carico: «è fondamentale che l’Italia sia interprete leader di una nuova narrazione della transizione come opportunità di sviluppo e non come un costo, perché un ecosistema protetto, sostenibile e resiliente è in grado di produrre più ricchezza e reddito di un ecosistema insicuro e debole: questo è un concetto chiave che deve raggiungere ogni cittadina/o e ogni impresa. […] L’Italia può e deve dimostrare attraverso il suo impegno, anche nel quadro nazionale, che realizzare gli obiettivi climatici e ambientali è possibile, ed è possibile farlo creando nuove possibilità di prosperità economica e migliorando benessere ed equità sociale».
Insomma, ancora una volta – come il Covid-19 ci ha mostrato tragicamente – la salubrità e la sicurezza dell’ambiente in cui viviamo sono elementi da cui non possiamo prescindere per consentire anche una crescita e il benessere economico che desideriamo. La transizione ecologica, quindi, non è solo giusta, ma anche conveniente.
Un primo passo in questo senso è mosso dalla Commissione europea, che nell’ambito del Green Deal europeo, ha proposto un regolamento per contrastare l’importazione in UE di prodotti legati alla deforestazione. Gli operatori dovranno fornire le coordinate geografiche di provenienza delle merci che immettono sul mercato, restringendo l’accesso per quei prodotti come soia, cacao, caffè, olio di palma e legno ricavati dalla deforestazione. Come spiega il Sole 24 Ore in questo articolo, lo scopo di questo provvedimento risiede nel fatto che «promuovendo il consumo di prodotti “senza deforestazione” e riducendo l’impatto dell’Ue sulla deforestazione globale e sul degrado forestale, indica la Commissione, le nuove norme dovrebbero ridurre le emissioni di gas a effetto serra e la perdita di biodiversità».
Pur non essendo l’Unione Europea direttamente responsabile di opere di deforestazione, è emerso da un rapporto del WWF che, tramite il commercio internazionale, è indirettamente responsabile per il 16% della deforestazione tropicale.
Ancora il Sole 24 Ore evidenzia che «il vantaggio della stretta è legato al Green Deal europeo: prevenire il degrado forestale implicherebbe anche una riduzione di almeno 31,9 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio nell’atmosfera ogni anno dovute al consumo e alla produzione Ue delle materie prime, che potrebbe tradursi in un risparmio economico di almeno 3,2 miliardi di euro all’anno».
È vero, c’è ancora molto da fare, come sottolineano i ragazzi di Fridays for Future che hanno organizzato un nuovo Sciopero Globale per il Clima per il prossimo 25 marzo, ma se continueremo a monitorare la situazione e a chiedere conto ai nostri governanti delle loro azioni, possiamo riuscire a rendere la lotta al cambiamento climatico una realtà.