Per terra, lungo i marciapiedi delle nostre città, in spiaggia: le abbiamo viste dappertutto, dove purtroppo non dovremmo trovarle. Già, parliamo delle mascherine: quotidianamente ci proteggono dal Covid, ma uno spiacevole lato negativo del loro utilizzo sta nell’inquinamento che producono. Tutte le volte che perdiamo una mascherina camminando, che la gettiamo nel luogo sbagliato o con scarsa cura, stiamo di fatto inquinando l’ambiente; se poi moltiplichiamo queste occasioni su scala mondiale è presto fatto il conto di quanto sia seria la situazione.
Mascherine e ambiente: cosa sta succedendo, dati alla mano
Il problema dell’inquinamento provocato dalle mascherine è legato a due aspetti principali: il grande incremento di produzione di questi dispositivi e il fatto che, essendo possibilmente infette, le mascherine non possono essere riciclate e, per di più, nessuno corre il rischio di raccoglierle da dove si trovano.
Il corpo commerciale delle Nazioni Unite - UNCTAD ha stimato le vendite globali di mascherine per il 2020 in circa 166 miliardi di dollari, numeri che messi a confronto con i circa 800 milioni di dollari spesi nel 2019 marcano una differenza davvero significativa nella produzione.
Come riporta l’ONU in questa notizia, se i dati storici sono un indicatore affidabile, si può prevedere che circa il 75% delle mascherine utilizzate finirà disperso nell’ambiente o nel mare; questo comporterà – ovviamente oltre ai danni ambientali – un costo in opportunità perse tra turismo e pesca stimato in circa 40 miliardi di dollari dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP).
Come spiega il WWF nel paper pubblicato a giugno 2021 «La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da plastica», gli ultimi due anni avrebbero dovuto essere quelli decisivi, di svolta nella lotta ai rifiuti di plastica, ma il Covid ha creato nuovi ostacoli.
Quotidianamente, purtroppo, ben 2.700 tonnellate di mascherine finiscono tra i rifiuti ed essendo costituite da plastica composita e potenzialmente infette, non possono essere avviate al recupero e riciclo ma vengono considerate un rifiuto indifferenziato destinato quindi a impianti di incenerimento o alla discarica.
«La mala gestione di questi dispositivi usa e getta, le perdite accidentali e la dispersione in natura, stanno acuendo il dramma dei rifiuti plastici che inquinano i nostri mari e gli ecosistemi terrestri. – spiega a chiare lettere questo paper - Se disperse in mare le mascherine tendono a galleggiare, ma ne esistono di più pesanti che affondano o restano sospese a tutte le profondità. Sono stati già osservati pesci, tartarughe, mammiferi marini e uccelli che le hanno ingerite intere, mentre altri organismi sono spesso vittime degli elastici».
Come per tutti gli oggetti in plastica, poi, si pone il problema delle microplastiche: le mascherine dopo poche settimane di permanenza nell’ambiente si frammentano in microfibre, che possono accumulare e rilasciare sostanze chimiche tossiche e microrganismi patogeni.
Quanto sai dell’inquinamento del mare da plastica?
L’inquinamento da mascherine è solo la punta dell’iceberg
Sempre il WWF nel paper evidenzia anche un cambiamento nei comportamenti quotidiani che ha sicuramente un impatto sull’inquinamento: specialmente nei primi mesi di pandemia tanti di noi hanno preferito acquistare prodotti confezionati in plastica per la convinzione di proteggersi meglio dal virus. «Se pre-pandemia si stimava intorno al 40-45% il consumo di prodotti confezionati rispetto allo sfuso, con la pandemia si è arrivati al 60%; […] nel 2020 sono state vendute 2,6 miliardi di confezioni, ossia 80 milioni in più rispetto al 2019. – Leggiamo nel documento anche che – il 46% delle persone che prima prediligeva lo sfuso è tornata ad acquistare prodotti imballati.»
Questa modifica dei comportamenti è determinata da una nuova «safe attitude», ovvero il fatto ritenere più sicuri da contaminazioni i prodotti confezionati: questo, però, è un meccanismo psicologico che non trova riscontro nella realtà dei fatti perché ad oggi non è stato segnalato alcun caso di trasmissione del COVID-19 attraverso il consumo di alimenti.
La preoccupazione del contagio non ha influito soltanto sul comportamento dei singoli, ma anche sulle azioni di enti e istituzioni che hanno dovuto mettere al primo posto la sicurezza anche a fronte di incertezze: diversi Stati nel mondo, ad esempio, hanno proprio interrotto i programmi di riciclo perché preoccupati dal possibile rischio di diffusione del virus, preferendo incenerire i rifiuti anziché recuperarli.
Cosa possiamo fare, allora, per bilanciare le nostre necessità di gestire il virus nel miglior modo possibile e di limitare l’inquinamento? Alcuni comportamenti come evitare l’utilizzo di prodotti monouso, smaltire correttamente le mascherine e gli altri dispositivi come i guanti, se ne usiamo, e tornare ad acquistare prodotti sfusi potrebbero già fare la differenza.
Hai già letto del rapporto ONU sui cambiamenti climatici?