L’emergenza nella foresta amazzonica non è mai finita, anzi, continua a bruciare avvolta da un numero record di incendi. Frastornati dall'emergenza Covid-19 prima e dalle sue conseguenze economiche poi, abbiamo distolto l’attenzione da un problema che è lontano dai nostri confini ma molto vicino per gli effetti che scatena e che, purtroppo, è ancora attuale.
Già, perché i fuochi che abbiamo visto nei servizi dei telegiornali in primavera non sono mai stati placati del tutto e se ne sono aggiunti sempre di nuovi. Colpa del cambiamento climatico? Certo, ma anche l’uomo sta dando una grande mano alla deforestazione, tra motivazioni politiche ed economiche.
La foresta amazzonica in fiamme per nuovi campi e pascoli
Cosa sta succedendo, veramente, al nostro polmone verde per eccellenza? Non sono solo le condizioni climatiche della stagione secca a favorire gli incendi, ma, come dicevamo, c’è lo zampino dell’uomo su questo disastro.
Purtroppo, si tratta di una somma nociva di interessi economici e politici: da un lato ci sono agricoltori e allevatori che sono disposti a disboscamenti selvaggi per aumentare campi e pascoli; dall'altra anche il mondo politico – tra cui spicca negativamente il governo Bolsonaro in Brasile – chiude entrambi gli occhi su questa situazione nel nome dello sviluppo.
Questa pratica illegale e scellerata è detta queimadas in Brasile e consiste nel metodo più rudimentale per liberare nuovi terreni per le coltivazioni o il pascolo: semplicemente si dà fuoco agli alberi e al sottobosco nella zona interessata ottenendo sia un evidente vantaggio nel terreno extra sia nel fatto che questo terreno incendiato offre molta biomassa per fertilizzare il campo stesso.
Peccato che questo effetto positivo sia solo temporaneo e che nel lungo periodo causi un continuo impoverimento del suolo che porta alla desertificazione: non per niente è una tecnica deprecata e illegale.
Il secondo dei punti dolenti di questa situazione consiste proprio nel mancato rispetto della legalità: il presidente brasiliano Bolsonaro è stato attaccato più volte dalle comunità indigene amazzoniche e da quella internazionale per controlli e sanzioni che sembrano non arrivare mai e perché sembra chiudere troppi occhi su una situazione ormai disastrosa.
Certo è che non si tratta di un problema limitato al solo Brasile, perché anche le altre nazioni che ospitano la foresta pluviale non sono messe meglio.
Gli ultimi dati raccolti dal WWF parlano chiaro: nel 2019 abbiamo perso a causa degli incendi il 150% di foresta amazzonica in più rispetto al 2018; per farci un’idea, dagli anni '70, solo nell'Amazzonia brasiliana, abbiamo perso 800 mila chilometri quadrati di foresta. Anche le previsioni per il 2020 sono nere, dato che gli incendi non sembrano placarsi.
E perché se la foresta amazzonica brucia è un problema anche per noi?
La desertificazione e, in primis, gli effetti negativi degli incendi non ricadono sulla zona limitata dell’Amazzonia, ma si ripercuotono su tutto il pianeta, come è ovvio che sia.
- Il primo effetto è il rilascio in atmosfera di una grande quantità di anidride carbonica sia perché il bruciare degli alberi la genera naturalmente nel processo, sia perché viene rilasciata quella che l’albero ha immagazzinato nel tempo
- La conseguenza a lungo termine, poi, è la mancanza della capacità di questi alberi di immagazzinare nuova CO2, contribuendo così al riscaldamento del pianeta
- Ancora, possiamo salutare uno dei territori con la maggior biodiversità al mondo: qui, secondo il WWF, vivono dal 10% al 15% (cioè ben 1 su 10) delle specie animali; ad esempio qui vivono 3.000 specie di pesci, il più alto numero al mondo di specie di pesci d'acqua dolce
- In più, il 75% delle specie vegetali presenti è endemico, cioè unico di questa area: disboscando a questi ritmi potremo decretare anche la loro estinzione
Insomma, la foresta amazzonica è un ambiente con un delicato equilibrio e una straordinaria ricchezza da offrire: trovare la risposta alla necessità di crescita economica della popolazione non è semplice, ma non si può declinare nella deforestazione e nello sfruttamento insostenibile del suolo, anche perché di un fugace benessere non rimarrebbe ben presto più nulla.
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