A marzo, in pieno lockdown, riflettendo sul Coronavirus e sui danni che l’umanità procura a sé stessa, tutti abbiamo guardato al rifiorire del nostro pianeta come all’unico contraltare positivo degli effetti nefasti del virus. Già, perché mentre tutta Italia – e tantissimi altri paesi – si chiudevano in casa saltando a piè pari la primavera, la natura si è riappropriata dei suoi spazi, dimostrando una resilienza che nessuno si aspettava.
Ma adesso, una volta terminata la chiusura e il ritorno a un certo movimento delle persone, cosa sta succedendo? Le minori emissioni – date purtroppo dal minor lavoro – sono rimaste basse o abbiamo già “compensato” l’inquinamento perso? Scopriamolo insieme.
Emissioni inquinanti e coronavirus, due facce di un periodo difficile
Che ci sia stato un minor inquinamento è un fatto sotto gli occhi di tutti, evidente anche solo perché abbiamo visto i pesci ripopolare i canali veneziani e i delfini avvicinarsi sempre di più alle coste cagliaritane. La riduzione delle emissioni inquinanti, però, potrebbe essere il solo effetto positivo del blocco delle attività conseguente alla pandemia; lo abbiamo visto in Cina e poi anche qui in Italia: fermandosi fabbriche e trasporti sono mancati i principali fattori dell’inquinamento.
Tuttavia, sembra esserci una prima conferma della durevolezza di questo cambiamento (almeno fino a prima dell’estate) che viene dallo studio di Carbon Brief: la pandemia ha causato il crollo delle emissioni globali, diminuite del 17% (pari a 17 milioni di tonnellate di anidride carbonica) rispetto ai livelli medi giornalieri nel 2019 (dato misurato il 7 aprile) scendendo a una quota osservata l'ultima volta nel 2006.
L’overshoot day è arrivato un mese dopo il solito, a fine agosto
Conseguenza tangibile di questa diminuzione è stato lo spostamento in avanti dell’overshoot day (testualmente il giorno del superamento) cioè della data in cui esauriamo le risorse che la terra ci offre per quell’anno. Ultimamente questa scadenza cadeva a fine luglio, mentre nel 2020 ci abbiamo messo un mese in più, dato che l’overshoot day è stato il 22 agosto.
Si tratta di una notizia molto positiva, perché da quando viene conteggiato questo superamento della soglia delle risorse (anni 70’) la tendenza non era mai stata invertita, anzi il 2019 è stato l’anno in cui è arrivata prima. Non ci illudiamo che il trend rimanga decrescente, ma certamente offriamo un po’ di agio alla natura che sfruttiamo ogni giorno, spostando un po’ più in là il punto di non ritorno del cambiamento climatico.
La riduzione delle emissioni di CO2 è iniziata, ma ancora non basta
Già, sembra che questo stop forzato delle attività abbia fatto piuttosto bene al pianeta: ancora secondo le analisi di Carbon Brief, per quest’anno è previsto un calo delle emissioni di circa 1,6 miliardi di tonnellate di CO2, che significherebbe una riduzione del 4% circa rispetto al 2019, sempre se la tendenza rimane invariata.
Una buona notizia, certamente, che però nasconde una nota amara: nemmeno questo calo – seppur significativo – basterebbe a mettersi in carreggiata rispetto al tentativo di mantenere l’aumento della temperatura terrestre entro i 2°C. Il rapporto dell'UNEP (il programma ambientale dell'Onu) ha previsto che sono necessarie riduzioni di gas serra del 2,7% all'anno dal 2020 al 2030 per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi e del 7,6% all'anno per mantenerlo al di sotto di 1,5 gradi.
Non possiamo certo sperare in una pandemia prolungata per diminuire l’inquinamento né sappiamo come avverrà la ripresa economica e cosa questa comporterà dal punto di vista delle emissioni. In più, dobbiamo sottolineare anche che sul lungo periodo questa diminuzione vale poco più di una battuta di arresto che non risolverà da sola il problema del surriscaldamento globale.
Dopo tutte queste notizie negative c’è un però: è vero che non abbiamo ancora invertito la tendenza, ma questa pandemia se non altro ci ha insegnato che è possibile ridurre l’inquinamento e che la natura è disposta a darci una mano, riprendendosi degli spazi con una velocità che non sospettavamo. Insomma, la crisi causata dal Coronavirus ci ha fatto capire quanto il comportamento di ciascuno di noi e della comunità intera influisca sul clima e sul pianeta in generale: se “restare a casa” per pochi mesi ha portato a questa contrazione dell’inquinamento (e, più importante, se il dato venisse confermato per il futuro) avremmo ottenuto un fortissimo impulso a nuove politiche e nuovi tipi di investimenti.