La bioplastica sembra essere il materiale del futuro: biodegradabile e compostabile, può essere usata per smaltire l’umido nelle case di tutti ma anche per tantissimi altri utilizzi, compresa l’agricoltura. Naturalmente la differenza sta tutta nell'impatto sull'ambiente: la bioplastica ha il vantaggio di degradarsi in pochi mesi e di disfarsi in piccoli frammenti, ma anche quello di essere composto da materiale che si rigenera. Ci sono solo aspetti positivi parlando di bioplastiche? No naturalmente, ma i vantaggi ci fanno dire che probabilmente la bioplastica sarà un tassello importante per salvaguardare il nostro ambiente.
Cos'è la bioplastica o plastica naturale? Come viene prodotta?
La bioplastica è una plastica che non è plastica. Cioè? Si tratta di un materiale che ha le stesse caratteristiche della plastica – leggera, resistente, versatile, igienica - ma è formato da polimeri di materia prima rinnovabile come mais e frumento: non deriva, quindi, dalla raffinazione del petrolio come la plastica tradizionale e non comporta così il principale limite di questo materiale, cioè la resistenza ad essere attaccato dagli agenti naturali.
Eh, sì; proprio perché la plastica è così resistente che la sua degradazione comporta decine di anni; ad esempio Focus parla del tempo di degradazione di un sacchetto di plastica, dai 10 ai 30 anni. La bioplastica, invece, viene prodotta a partire da quei materiali che citavamo, come mais, barbabietola da zucchero o frumento ed è per questo una risorsa rinnovabile, sia perché alla fine del suo utilizzo si degrada e diventa compost, sia perché la sua produzione ha un minor impatto sull'ambiente, utilizzando una materia prima che semplicemente viene coltivata e che, prima di diventare bioplastica, contribuisce al bilanciamento positivo del ciclo del carbonio.
Le caratteristiche perché una bioplastica sia definita come tale, sono: essere biodegradabile e compostabile ed essere creata utilizzando materie prime rinnovabili. In particolare, c’è una normativa che regola e certifica la degradazione del materiale, la normativa europea EN 13432, che fa chiarezza rispetto alcune lacune del passato. I paletti principali sono:
- la degradazione almeno del 90% in 6 mesi
- il materiale deve sfaldarsi per almeno il 90% in frammenti più piccoli di 2mm per lato
- non deve produrre effetti negativi sul processo di compostaggio
- deve presentare concentrazioni di metalli pesanti bassissime
La bioplastica, vantaggi e svantaggi: perché non ha ancora preso piede?
I vantaggi della bioplastica sono facili da vedere: la degradazione totale a fine vita del prodotto – attenzione, non vuol dire che dobbiamo buttare i sacchetti a mare a cuor leggero – è molto più breve di quella della plastica tradizionale (si parla di 4-5 anni) e, se bruciata, non produce diossina, tossica per noi e per l’ambiente.
Ancora, comporta dei benefici per gli agricoltori, che possono dare nuovo valore alle loro coltivazioni stimolando anche un ritorno alle aree rurali, magari limitando la cementificazione del suolo.
Lo svantaggio principale, invece, è il costo di produzione delle bioplastiche che sta limitando fortemente la crescita di questo settore, ostacolato dalla concorrenza della plastica tradizionale che ha un costo minore e una filiera produttiva consolidata. Oltre a questo, sussiste anche il rischio di deforestazione, che però può essere contenuto con normative stringenti ad hoc.
Nuovo impulso a questo settore, però, potrebbe arrivare dalla nuova direttiva europea che impone lo stop alla plastica monouso nel 2021: combattere l’inquinamento dei mari, ma anche salvaguardare la nostra salute dalle microplastiche, è l’obiettivo della direttiva UE 2019/904, che mette così in pole position le bioplastiche per sostituire questi oggetti di uso comune.
Leggi il nostro approfondimento sullo stop alla plastica monouso
Un esempio di bioplastica italiana: la storia della Novamont bioplastica
Mater-Bi è una bioplastica tutta italiana, prodotta dalla Novamont di Novara, ma con una lunga storia alle spalle, che affonda le radici nelle vicende di Montedison (puoi leggere di questa vicenda nell'articolo della Stampa e in questo del Sole 24 Ore).
Questa bioplastica innovativa – prodotta a partire dal mais – è stata utilizzata già dagli anni ’90 per produrre i primi sacchetti biodegradabili per la raccolta differenziata, utilizzati sia in Germania che a Milano, ma in questi anni si è evoluta, arrivando a coprire tantissime funzioni: i sacchetti per la spesa, i teli per la pacciamatura, posate, bicchieri e altri strumenti biodegradabili, ecc.
Insomma, una realtà italiana che vanta sette certificazioni da parte di enti di tutto il mondo, garantendo sia la compostabilità, la biodegradabilità che la biodegradazione marina.
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