Avresti mai pensato che i batteri fossero utili anche nel mondo dell’arte? Eh, sì: grazie a una speciale “squadra” di batteri, i restauratori impegnati nella pulitura dei marmi dei monumenti funebri delle Cappelle Medicee a Firenze hanno potuto riportare al colore originario le sculture, rimuovendo anni di sporcizia senza intaccarne minimamente la superficie. Questi minuscoli esseri viventi, che siamo abituati ad associare a malattie e a eventi negativi, hanno dimostrato tutta la loro potenzialità anche come “biopulitori”, ponendo le basi per un futuro impiego in tantissimi altri campi diversi.
I batteri restauratori della collezione ENEA al servizio di Michelangelo
Come ripulire anni e anni di depositi di sporcizia e polvere su marmi di valore inestimabile? A questa domanda le restauratrici Marina Vincenti e Daniela Manna hanno riposto in maniera insolita e innovativa: rivolgendosi all’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, per chiedere il loro supporto e un “esercito” di batteri pronti a eliminare i depositi di varia natura che offuscavano la bellezza delle statue che ornano i monumenti funebri di Lorenzo e Giuliano de’ Medici, i capolavori di Michelangelo situati nella Sacrestia Nuova delle Cappelle Medicee, a Firenze.
Avvicinarsi con le tecniche abituali di restauro alle quattro Ore del Giorno (le coppie di statue raffigurano infatti il Giorno e la Notte, l’Aurora e il Crepuscolo) era considerato infatti troppo rischioso: da qui il tentativo di impiegare i batteri come già è avvenuto con successo nei Giardini Vaticani.
La scelta di utilizzare i “batteri restauratori” si è rivelata vincente: dopo ben otto anni di intervento – di cui solo gli ultimi hanno visto il coinvolgimento dell’ENEA – i marmi michelangioleschi sono tornati al loro splendore originario. Utilizzare questi biopulitori non è stata un’impresa da poco: il primo passo è stato selezionare i tre ceppi batterici poi utilizzati per il restauro tra i 1.500 microorganismi della collezione ENEA: «La scelta dei batteri ‘giusti’ da utilizzare è una delle fasi più delicate – ha raccontato la ricercatrice ENEA Anna Rosa Sprocati - Per i capolavori di Michelangelo, in una prima fase abbiamo selezionato 11 ceppi batterici in grado di rimuovere i depositi selettivamente, senza lasciare residui e nel rispetto del marmo originale. Poi ne abbiamo individuati tre con le migliori performance di biopulitura e, fra questi, un microrganismo isolato dal suolo di una miniera sarda contaminata da metalli pesanti, molto efficace nella pulitura dell'arca marmorea del duca d’Urbino gravemente danneggiata nel passato dai processi di decomposizione, che avevano rilasciato depositi scuri lungo tutto il basamento».
Naturalmente, i «batteri restauratori» non sono stati lasciati liberi di proliferare sulla superficie delle sculture, anzi, la loro preparazione è stata uno dei passaggi-chiave del restauro: il team di restauro li ha incorporati a un gel che avesse la giusta consistenza e umidità per poterli applicare al marmo, dopo averli trattati – potremmo dire “mettendoli a dieta” – in modo che avessero la massima efficacia nel trattamento.
Il grande valore nell’utilizzo di queste biotecnologie sta non solo nel fatto che il risultato è ottimo, ma anche nella gradualità e rispetto del materiale su cui sono applicati: altri metodi troppo invasivi utilizzati in passato avevano intaccato la superficie delle statue, mentre questi batteri hanno eseguito il proprio compito senza andare oltre, mostrando tutta la bontà di un approccio che fonde storia dell’arte, restauro e scienza.
Non solo batteri restauratori: le biotecnologie del futuro passano anche da loro
Le applicazioni di queste biotecnologie, ovviamente, non si fermano al nostro patrimonio artistico: «Noi siamo biologhe ‘raccoglitrici’ di batteri spontanei, utili e innocui, che custodiamo in un archivio ENEA, come vere fabbriche di enzimi e molecole per pulire opere d’arte, […] ma anche per applicazioni altrettanto importanti di risanamento ambientale» sottolineano le ricercatrici del Laboratorio di Osservazioni e Misure per l’ambiente e il clima dell’ENEA.
Questo «archivio dei microrganismi» del Centro Ricerche ENEA Casaccia conta infatti circa 1.500 tra batteri, funghi, alghe e virus, ed è partner del Microbial Resource Research Infrastructure - MIRRI, un grande network di centri europei per la salvaguardia della biodiversità microbica a fini di sostenibilità ambientale, sviluppo biotecnologico e crescita della bioeconomia.
Le potenzialità di questi batteri, da applicare in biotecnologie future, sono davvero enormi: i ricercatori credono che potranno giocare un ruolo fondamentale in tantissimi campi, dall’agricoltura sostenibile, alla cosmetica, alla farmaceutica fino alle applicazioni mediche, che si pensa possano rivoluzionare il campo dei vaccini e delle cure oncologiche.
Ad esempio, ricordi quando abbiamo parlato di batteri mangia plastica e della PETasi? La ricerca su questi enzimi sta procedendo, e gli scienziati che se ne occupano – come racconta qui il Guardian – hanno affermato di aver velocizzato il processo di digestione della plastica di ben sei volte, agendo su questi microorganismi grazie alle tecniche più avanzate di biotecnologia.
Curiosa con noi nel mondo dei batteri mangia-plastica